70000 colpi di pugnale !

Saranno presto 70000 le persone tenute in ostaggio dallo Stato, nelle sue infami galere. Quasi una notizia fra le altre, nella cascata di orrore che ci viene servita quotidianamente, per meglio schiacciarci sotto il peso della realtà, contabilizzata e incasellata in statistiche. Ed ecco che ci si potrebbe imbarcare assieme al nemico in un’indefinita danza macabra delle cifre, fare i conti per mostrare quanto la “popolazione carceraria” sia letteralmente esplosa negli ultimi cinquant’anni. Soffermarsi sui più piccoli aspetti di questa realtà : quale percentuale di sovrappopolazione, in quanti dormono su materassi stesi per terra, più o meno “suicidi” dentro le mura da un anno all’altro, fare paragoni con i Paesi vicini, etc…

Se ciò ci stringe le viscere, poiché di certo non siamo struzzi che nascondono la testa sottoterra per non vedere, non daremo però spazio, qui, ai diversi “argomenti” tirati in ballo ogni volta che la democrazia fa i suoi conti e si chiede come fare meglio la prossima volta. Cioè : come rinchiudere meglio, come addestrare meglio, come meglio “rimettere sulla retta via”, come “reinserire” meglio, come meglio impedire la recidiva, come “migliorare” le condizioni di detenzione, come meglio domare quelli e quelle che continuano ad avere la ribellione incollata al proprio corpo. Come fare in modo che la prigione continui a fare paura a tutti quelli che si credono liberi, fuori.

Riforma penale o meno, c’è una verità che non cambierà, che d’altra parte non è riformabile : i potenti ed i ricchi odiano i poveri e gli insubordinati, li amano solo quando sono al lavoro, servili, morti oppure dietro alle sbarre, piuttosto che liberi di scorrazzare per le strade. Perché è evidentemente questo l’unico significato delle più recenti evoluzioni in materia, se mai esse si concretizzeranno : tenuti alla caviglia da un laccio elettronico o rinchiusi fra quattro mura, seguiti da vicino dai servizio sociali di reinserimento o dal secondino brutale, firma in caserma o gattabuia, rinchiusi fuori, rinchiusi dentro. I loro progetti non sono di sicuro di svuotare le prigioni, ma da una parte di mantenerle ben piene, dall’altra di estendere sempre più la catena del controllo “fuori dalle mura”, a sempre più persone definite come indesiderabili o nocive al buon funzionamento di questa società. La prigione non concerne solo i detenuti, tant’è vero che il potere non vuole mantenere il controllo solo su questi, ma sull’insieme degli individui considerati a rischio.
Ecco quindi la militarizzazione di certi quartieri tumultuosi, il proliferare delle telecamere di sorveglianza, il moltiplicarsi dei controlli per strada e nei trasporti pubblici, un’architettura ed un urbanismo sempre più adatti ai bisogni della polizia e dei ricchi, l’allestimento di Zones de Sécurité Prioritaires [“Zone di sicurezza prioritaria”, aree dei quartieri popolari in cui più stretta è la cooperazione fra polizie e poteri pubblici, al fine di aumentare il controllo sociale ; NdT], che significa la presenza di corpi di polizia d’assalto (tipo BST), assistiti da altre truppe para-poliziesche (pensiamo ai Correspondants de Nuit [funzionari comunali che pattugliano i quartieri popolari, mezzo mediatori e mezzo infami ; NdT] oppure a dispositivi come i “Vicini vigilanti”).
Ecco quindi le terapie obbligatorie senza internamento, che si aggiungono alla camicia di forza psichiatrica per sempre più persone. Ecco quindi il mantenimento, anche in epoca di austerità, dei budget di tre ministeri che sono altrettanti pilastri dell’autorità : l’Istruzione, la Giustizia e la Polizia.
Ecco quindi progetti che la dicono lunga, come il futuro Palazzo di Giustizia e sede della Polizia Giudiziaria parigina (alla Porte de Clichy, nel XVII arr.), oppure la futura sede distaccata della polizia scientifica, affiancata ad un nuovo commissariato, a Saint-Denis.

Per lo Stato, la questione non si pone nei termini di “prigione o libertà vigilata”, né nel dilemma “30000 posti in più in prigione oppure misure alternative”, ma nella formula “più prigione e più libertà vigilata”. In questo senso, il braccialetto elettronico e gli arresti domiciliari con l’obbligo di lavorare sono il massimo che il loro umanesimo di borghesi democratici possa contemplare, e come per il resto dei progetti che hanno per noi, come per tutte le false scelte che ci offrono, ci sputiamo sopra.
E qualcosa ci dice che non siamo i soli… Il fatto che le loro galere, anche modernizzate, continuino, per un gran numero di detenuti e di rivoltosi, fuori, ad essere considerate per quello che sono : delle infamie da distruggere senza aspettare oltre. Le numerose sommosse, devastazioni, evasioni (riuscite od abortite) e gli atti di resistenza di fronte ai secondini che hanno avuto luogo in questi ultimi mesi, parlano chiaro, in questo senso.

Qualcosa ci dice che nel momento in cui questo mondo nel suo complesso diventa sempre più intollerabile agli occhi ed ai cuori di milioni di noi, non c’è motivo per cui la prigione, che non è altro che il grigio riflesso della società, resti al riparo mentre la polveriera esplode.
Che nel momento in cui non rimane più nulla da chiedere al potere, soprattutto non una gabbia ridipinta o una catena più lunga, non resta che tagliare corto.

[tradotto da : Lucioles, bulletin anarchiste de Paris et sa région, n. 17, maggio 2014]

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