Qualche volta, osservando le folle umane che si accalcano nelle grandi città, mi capita di sentir montare una certa angoscia. Che può persino tramutarsi in un autentico senso di panico. Le persone che percepisco vengono ridotte per un istante a variazioni di una medesima massa umana che scivola come acqua agitata sul selciato; un’unica entità distante e ostile da cui sono escluso. Per descrivere meglio questa sensazione, assomiglia ad una contrazione: ci si sente storditi e compressi, ricondotti ad un isolamento, ad una fragilità. Anche se la sensazione arriva all’improvviso, potrebbe essere maturata da un bel pezzo sviluppandosi in un paesaggio alquanto smorto; le grandi vie, le piazze, i corridoi della metropoli assumono allora la forma di deserti in cui ciascuno sembra errare. Certe ore si prestano meglio di altre: l’ora mattutina ad esempio, con tutte le sue figure curve e afflitte, anchilosate nella routine. Una tale angoscia non può essere ben resa senza parlare dell’assurdità che l’accompagna. Gli altri sembrano ridotti allo stato di passanti perpetui o di fantocci che si aggirano come mosche attorno ad una lampadina.
Una volta dissolta la portata della massa, si ritrovano spesso negli altri tutte le piccole differenze che si erano perse per un istante e ci si accorge come tutti si scrutino e si fiutino. Allora si dà il via al grande ballo delle identità con tutti i suoi codici e i suoi rituali. Non sono sempre individui a camminare, ma religioni, origini geografiche, colori di pelle e modi di abbigliarsi. Dalla testa ai piedi, tutto è segno di appartenenza. Ritroviamo borghesucci, funzionari dinamici, acconciature hip-hop, hippie, punk, nuovi ricchi e sempre poveri, in breve tutti coloro che manifestano dei segni esteriori identitari.
Così, si è ancora lontani dall’aver a che fare con individui. Ora ci si rivede negli altri, ma unicamente come strumenti di comparazione, le persone non sembrano esistere che in quanto prodotti della massa, attraverso dei simboli. La pesantezza permanente dei rapporti umani, rafforzata dalle distanze che impongono tutte queste scissioni, possono respingerci cinicamente verso l’isolamento. E non ci sono certezze sul modo di affrontare una tale pesantezza, si ha un bel sentirla rosicchiarci a poco a poco a colpi di imbarazzo, di frustrazione, di meschinità, talvolta fa venire voglia di lasciarsi andare all’odio nei confronti di ciò che non siamo e di ciò che non ci rassomiglia.
Ascoltando i propri desideri e sentendo i propri sogni senza averne paura o vergogna, partendo da sé in quanto individui, già meno ostacoli ci separeranno dalla nostra libertà.
Contro la tirannia della folla.
[trad. da Lucioles, n. 7, giugno/luglio 2012]