Ore 8 del mattino, fermata del metrò Belleville: la faccia di chi si sveglia sempre male prima di una giornata di merda al lavoro; alzi appena lo sguardo ed eccoli là, cercano di essere discreti e silenziosi, ma l’orrore banale del loro sporco lavoro spacca i timpani e brucia gli occhi. Stanno arrestando alcuni immigrati clandestini per strada, li portano al furgone “in civile” poco lontano, a volte la destinazione è una galera, un CIE, a volte la destinazione finale è un paese lontano al quale essi sono supposti appartenere, ma secondo quali criteri?
Ore 11, place République, arriva al ristorante ed infila il grembiule. La madre è orgogliosa di lei, che ha trovato un lavoro, alla fine; serve pezzi di carne ai ricchi e porta a casa un po’ di soldi, che comunque non toccano mai le sue mani rovinate dalla candeggina; passeranno direttamente dal conto in banca del padrone a quello del proprietario di casa. I clienti sono là, aspettano tutti qualcosa da lei, e in fretta, sono intrattabili, le sbattono delle mance sul culo, la ignorano quando non hanno bisogno di un po’ di sale. Loro puzzano di denaro, lei puzza di olio di frittura. Non sogna che di tirare loro un piatto fra gli occhi.
Ore 17, sul Boulevard de la Villette: smaltisce la sua bottiglia di vino cattivo, come per dimenticare lo schifo che è diventata la sua vita da quando è per strada, preso fra il freddo e quelli che fanno solo il loro lavoro. Quattro bestioni passeggiano, con i bracciali verdi: non sono poliziotti, ci tengono a farlo sapere, sono educatori di quartiere, “corrispondenti di notte”. Prendono il suo cognome, il nome, tutte le informazioni possibili, e le trasmettono al comune. Non si sa mai, potrebbe sempre servire, si dicono.
Ore 20, rue de Tourtille : tengono su il muro, ammazzano la noia, aspettano impazientemente che il tempo passi, si raccontano storie, le ultime barzellette, la partita di ieri sera, si passano un piccolo spinello. Ma ecco i pneumatici che sfrigolano, le portiere che si aprono e si chiudono brutalmente, il cuore che batte. La perquisizione, gli insulti, le manette, il cane che ti annusa con la bava alla bocca e le zanne aperte, e poi, già che ci siamo, perché no, qualche schiaffo in piena faccia. Questo qui finirà la notte nel fondo di un commissariato puzzolente, in una cella che sa di merda, sarà la ventesima volta, ci è abituato. Quello là si farà rubare il poco che ha in tasca da un funzionario scrupoloso.
Ore 23, Boulevard de Belleville: le piacerebbe essere al caldo, vivere altro che la mera sopravvivenza, ma è là, a –4, sul marciapiede, con le sue colleghe. Colpito da un’altra forma di miseria, anche lui è là, va avanti e indietro, voleva scopare questa sera, ha tirato fuori il portafoglio, dopotutto quando ha fame compra un panino, allora perché non una donna. La vuole per sè tutto solo, ma lei non vuole, rifiuta. Lui si arrabbia, la spintona, lei cade, tutti se ne fregano. Lei si dice che la prostituzione è un lavoro come un altro, che il lavoro è una prostituzione come un’altra.
Non facciamo che recitare i nostri ruoli, non facciamo che i nostri lavori, non facciamo che applicare le norme o le leggi in vigore, non facciamo che obbedire agli ordini, ci siamo obbligati, la maggior parte delle volte, ed è proprio questo il problema.
Lui, io, noi, tu, loro.
Smettiamo di aspettare un giorno lontano in cui una scintilla appiccherà il fuoco alle polveri, in cui l’insurrezione dei dominati ridurrà questo mondo in cenere e rovine, e saremo liberi di gettarci in qualcosa di sconosciuto, di creare nuovi orizzonti, lasciare libero corso all’immaginazione e mettere in pratica il desiderio di libertà che abbiamo noi stessi sempre contribuito a censurare.
Abbattiamo questo mondo e viviamo, finalmente!
Il cuore è umano nella misura in cui si rivolta.
Alcuni anarchici.
[volantino trovato alla fermata Belleville, Parigi, marzo 2011]