Il 29 novembre scorso, un uomo moriva fra le mani della polizia, in una casa popolare di Colombes, nel dipartimento dell’Hauts-de-Seine. Il 13 dicembre, era a Marsiglia che gli sbirri uccidevano una persona a colpi di flashball. Il primo gennaio, poi, un uomo veniva abbattuto con diversi colpi di arma da fuoco a Courtry, ancora nella banlieue di Parigi.
Che gli sbirri siano degli assassini non è una novità, e non faremo qui il macabro elenco della loro carriera a questo proposito.
Come da copione, i media, sempre pronti a leccare il culo del potere, si sono dati da fare a porre delle false questioni e diffondere la versione degli sbirri. I poliziotti, è risaputo, non fanno che difendersi e rispondere con “tiri di risposta” contro individui “aggressivi e particolarmente violenti”, “fuori controllo”, “dei forsennati”: non si capisce chi sono gli assassini e chi le persone ammazzate. I “morti” (si noterà, di passaggio, che la parola “morto” elimina ogni responsabilità ed inserisce un qualcosa di naturale nell’omicidio) erano dovuti al Taser, al flashball? I tipi che si sono fatti ammazzare dagli sbirri erano asmatici? Cardiopatici, forse? La polemica si gonfia. “Ah, lo avevamo ben detto, che Taser e flashball sono pericolosi!”, dice subito qualche democratico indignato, nei primi due casi. “Falso!” risponde la prefettura, “il primo uomo è morto di asfissia. E nulla prova che il gas lacrimogeno sia responsabile del decesso. Nel secondo caso, la persona aveva lanciato una tazza contro i poliziotti, si tratta di legittima difesa!”. Tra un po’ sentiremo dire che c’era una buccia di banana nel corridoio e che il primo poveraccio ci è scivolato sopra scappando. Allora, il Taser, i lacrimogeni, il flashball, la malattia, la colpa della sfiga o la buccia di banana?
Non bisogna ridere, tre uomini sono morti, e non sono i primi.
Ma noi siamo molto seri. Riprendiamo. Non sono né il Taser, né i lacrimogeni, né il flashball, né le pistole che hanno ucciso quelle persone – gli oggetti non sono responsabili – sono stati gli agenti che hanno usato quelle armi.
Anche se fossero ancora vivi, ciò non cambierebbe granché al fondo della storia. L’espressione “abuso poliziesco” è utilizzato da sempre da parte di quelli che, stando dalla parte degli sbirri, vogliono discutere su quale polizia sia meglio e di come renderla accettabile agli occhi di tutti e tutte. Quelli che sono disturbati quando la polizia uccide, ma che non hanno nulla da ridire sull’esistenza degli sbirri in quanto tali e sul loro ruolo di guardiani dell’ordine delle cose. Quelli che usano quest’espressione intendendo così mascherare la normalità della violenza poliziesca, che è essa stessa un’incarnazione della violenza dello Stato, che è essa stessa un semplice riflesso della violenza inerente ad ogni rapporto di autorità. Preferiscono militare per “Disarmare la polizia” [slogan dei sinistri dell’NPA, NdT] (cioè: togliere loro Taser e flashball, lasciando loro le armi più classiche: manette, pistole, manganello e bombolette di gas) e per una “polizia di vicinato, di quartiere”.
Si tratta di focalizzarsi su violenze particolari per nascondere tutto il resto del loro sporco lavoro: controlli, retate, pestaggi, insulti, pressioni psicologiche, fermi, deportazioni, etc. Ma per noi la polizia è sempre troppo vicina. Ed anche quando essa assassina, manganella, rinchiude e da in pasto alla Giustizia delle persone a noi sconosciute, a volte a migliaia di chilometri di distanza, noi sentiamo nel più profondo dei nostri cuori gli effetti del suo lavoro infame. Perché siamo in tanti ad averne già fatto l’esperienza. Perché, in uno Stato democratico così come in ogni altro tipo di Stato, la polizia è composta di individui che hanno fatto la scelta di difendere con le armi la legalità e, quindi, di fare in modo che nulla cambi. Noi, che soffochiamo in questa società, sappiamo bene che avremo la polizia di fronte, e contro di noi, un giorno o l’altro. Perché il povero è per lo Stato una minaccia che bisogna costantemente sorvegliare, un indesiderabile. Perché lo Stato sa, e a ragion veduta, che il capitalismo che esso protegge, gestisce ed accompagna, crea altrettanta miseria che ragioni di rivoltarsi. Perché, essendo noi dei rivoltosi, e cercando i mezzi per uscire da questa miseria sociale (fregandocene di sapere se essi sono “legali” o no, la legge non è la nostra bussola), la Giustizia troverà sempre un motivo per condannarci, aiutata da quei ridicolo pezzi di carta che essa chiama leggi, carte d’identità, codice penale, codice civile e che non sono mai stati altro che una cauzione morale e degli strumenti pratici per l’oppressione politica, il dominio economico, la depossessione e lo sfruttamento delle nostre vite.
Allora diciamo le cose chiaramente: non ce ne frega niente del Taser e del flashball, di quest’arma o di quell’altra. Certo, le armi non sono strumenti anodini. Servono tutte a minacciare, ferire fisicamente, torturare o uccidere. Ma il problema non è tanto l’arma in sé, quanto colui che la tiene e perché se ne serve. Per quel che concerne la polizia, il perché è chiaro fin dalla notte dei tempi, da quando lo Stato è stato creato per difendere i ricchi ed i potenti. Ci sarà polizia finchè ci sarà Stato. E finchè ci sarà lo Stato, le “alternative” che la società ci lascerà saranno le stesse: lavora e resta tranquillo o vai a marcire in prigione oppure crepa. In ogni caso, miseria, servitù e morte sono le ultime promesse credibili che ci può fare il capitalismo.
Non ci sono mille soluzioni possibili per quelli che desiderano ancora vivere in libertà: la rivolta o la schiavitù.
Abbasso gli sbirri, abbasso lo Stato.
[tratto dal numero 2 di Lucioles, bollettino anarchico del nord-est di Parigi.]